Homo faber fortunae suae - Angelo Lustrascarpe

Homo faber fortunae suae

L’uomo diventa artigiano creando il primo utensile: una pietra scheggiata che diventa un coltello, si distingue dall’animale per avere il pollice opponibile che gli consente di usarlo per afferrare gli oggetti.

La manualità è peculiarità dell’uomo, il padre di Gesu’ è un artigiano.

La maestria non dipende solo dalla manualità, ma richiede anche una base di conoscenze, oltre all’esercizio e all’esperienza.

Molti scienziati diventano artigiani perché dovevano costruirsi i propri strumenti: oggi l’artigiano può essere visto come l’archetipo del lavoro contemporaneo: i greci definivano gli artigiani i “demiourgos”, coloro che producono lavori in maniera collettiva.

All’inizio del secolo scorso la burocratizzazione delle attività economiche aveva indotto a temere per la perdita della libertà individuale e si determino’ una rivalutazione del lavoro manuale visto come antidoto al senso di scarsa autonomia generato dalle fabbriche.

Si provoco’ una scissione nel mondo del lavoro tra i colletti blu (destinati alla ripetività) ed i colletti bianchi (con maggior considerazione sociale rispetto agli altri).

E se la causa di crisi economiche e recessione che stanno attanagliando la nostra società non sia ascrivibile a strane congiunture economiche ma semplicemente alla scomparsa della manualità dalla vita quotidiana ?

L’uso delle mani sta scomparendo, non si infila più la chiave per aprire l’auto, tutto si comanda con un pulsante, con un “touch”, con un app: molte azioni quotidiane sono demandate ad aggeggi che si rompono facilmente e di devono sostituire alimentando un circolo vizioso produzione/consumo.

Non esiste più l’uomo faber, tutti gli operatori economici sono in doppio petto e non si vedono più tute di lavoro e grembiuli: è scomparso colui che produce.

Viviamo immesi in un mondo di oggetti rispetto ai quali siamo passivi e dipendenti, perché non li capiamo e non li conosciamo o forse perché sono progettati proprio per non essere compresi.

Non si può piantare un chiodo su internet